‘FARE I CONTI’ CON IL PASSATO

L'Archivio Nazionale del Sud Sudan in Prospettiva Storica.

“Non puoi istituire il tuo stato [nazione] senza il tuo passato” afferma Youssef Fulgensio Onyalla, il Vice Direttore dell’Archivio al Ministero di Gioventù, Cultura e Sport, quando racconta la storia dell’Archivio Nazionale del Sud Sudan. Un sentimento che porta con sé interpretazioni multiple, a volte contrastanti. Lo incontriamo in un anonimo palazzo residenziale nel quartier Munuki di Juba, che temporaneamente ospita l’archivio. I due piani della casa sono pieni zeppi di scatoloni, organizzati per categorie geografiche e tematiche, contenenti decine di migliaia di documenti che compongono l’archivio del Sud Sudan. Gli archivi nazionali hanno trovato qui un rifugio relativamente sicuro, ma provvisorio, dopo decenni nei quali era rimasto ‘nascosto’ e dopo anni passati in una tenda.

 

Youssef Onyalla, Vice Direttore dell’Archivio Nazionale del Sud Sudan

Gli archivi nazionali coprono quasi un secolo di dominazione straniera e interna, dato che i documenti più vecchi contenuti nell’archivio sono datati 1899, l’inizio della dominazione del Condominio Anglo-Egiziano. Gli archivi completi includono le epoche dell’amministrazione coloniale britannica e il governo post-indipendenza del 1956. Lo stesso esercizio di archiviare il passato è ambiguo in quanto l’amministrazione coloniale anglo-egiziana s’impegnò a ritrarre la regione che è nota come Sud Sudan, come se fosse senza storia. Secoli di fila furono definiti “oscuri” per l’assenza di memorie scritte e fu dichiarato che la regione meridionale “non possedeva una storia precedente al 1821 d.C.”1 Harold MacMichael, che ricoprì posizioni di rilievo al servizio del Condominio anglo-egiziano per quasi trent’anni, riteneva che la storia dei “primi regni e dei movimenti tribali in Africa centrale” può essere ‘conosciuta’ solo in relazione cronologica con la storia del Sudan anglo-egiziano e divideva il Sudan coloniale in tre aree, stabilendo una gerarchia di storicità: il Sudan meridionale soffrirebbe di oblio e mancherebbe di “documentazione”; “tracce” per le zone est e ovest esisterebbero, ma solo nella “sfera della probabilità, verosimiglianza e possibilità”; e il nord vivrebbe circondato da testimonianze dirette (sia monumenti sia documentazione) che sarebbero “sopravvissute” (in riferimento all’eredità materiale).2 Una divisione simile può essere trovata negli annali di un giovane Winston Churchill, che divideva il Sudan nella parte settentrionale, che secondo lui è ricca di storia e “familiare a popoli lontani e illuminati (…) disegnata da penne e matite sapienti”, e nella parte meridionale, che conosce solo “una confusa leggenda di conflitti e miseria”.3

 

La raffigurazione della regione meridionale come senza storia serviva a legittimare il colonialismo e ignorava l’esistenza di tradizioni orali. I vari gruppi etnici del Sud Sudan condividono e compongono canzoni e storie di discendenze genealogiche e virtù comunitarie che narrano storie di migrazione e parlano di un’epoca precedente all’arrivo delle forze turco-egiziane nel 1821. Queste risorse culturali non solo creano una relazione con un’antica origine, ma sono continuamente modificate e rinnovate per riflettere le dinamiche dell’attualità, nelle quali le storie e le canzoni sono espresse. Tuttavia, è l’archivio coloniale che i politici del Sud Sudan hanno sfruttato come difesa, per esempio, dei limiti attuali dello stato nazione del Sud Sudan.

 

 

Il governo coloniale mantenne una scrupolosa documentazione del proprio governo della “regione meridionale” e della comunicazione amministrativa tra i livelli distrettuali e provinciali, e questi documenti furono ereditati dal governo sudanese dopo l’indipendenza del 1956. Questo solleva una questione: a chi ha passato questi documenti il governo coloniale dopo l’indipendenza? Nicky Kindersley, che coordinava il progetto degli archivi del Rift Valley Institute, spiega che nel periodo della Sudanizzazione, i documenti furono trasferiti dai funzionari britannici alle loro controparti sudanesi, prevalentemente del nord, alcune delle quali erano già coinvolte nell’amministrazione sotto il regime coloniale. Fino alla creazione degli archivi nazionali, i documenti ‘vissero’ un’esistenza piuttosto statica e furono tenuti negli uffici nei quali erano stati creati – una pratica che continua ancora oggi dal momento che i vari ministeri mantengono vasti archivi del loro operato.

 

Mading Deng Garang, un ex Ministro della Cultura, iniziò la costituzione di un archivio nella regione meridionale durante l’Accordo di Addis Abeba e istituì il Southern Regional Record Office nel 1972. Questo ufficio fu un insuccesso nella raccolta e sintesi dei diversi archivi provinciali e fu solo cinque anni più tardi, nel 1977, quando fu creato il Dipartimento degli Archivi sotto Lawrence Modi Tombe, l’allora Ministro della Cultura, che gli archivi nazionali acquisirono la forma attuale. Il dipartimento era assistito dal Dottor Douglas Johnson, un rinomato storico del Sudan, per raccogliere documenti dagli ex centri coloniali come Bor, Pibor, Fangak, Kapoeta, Torit e Maridi. La maggioranza dei documenti era scritta in inglese e arabo, ma gli archivi comprendono anche trascrizioni giudiziarie in differenti linguaggi colloquiali, come il Nuer e il Lotuho.

 

Gli Archivi Nazionali furono pesantemente segnati dalla seconda guerra (1983-2005) e molti documenti furono persi o danneggiati a causa delle cattive condizioni di conservazione. All’inizio della seconda guerra nel 1983, lo staff degli archivi dello stato dell’Equatoria Centrale trasferì in fretta e di nascosto i documenti dagli archivi ufficiali ad altri luoghi di Juba per assicurare che questi non finissero nelle mani dell’esercito sudanese. Youssef Onyalla afferma: “[Il Governo sudanese] voleva distruggere qualsiasi cosa riguardasse il Sud Sudan, la sua storia, la sua identità”. Per decenni gli archivi trovarono un esilio provvisorio nella cucina della Scuola secondaria femminile di Juba e nello scantinato dell’Ufficio del Governatore dello Stato dell’Equatoria Centrale. Non solo continuavano a esistere documenti segnati dalla seconda guerra, ma non si erano nemmeno aggiunti nuovi documenti nel corso di quel conflitto. Youssef suppone che ci potrebbero essere dei documenti riguardanti la regione meridionale a Khartoum e sono state inoltrate richieste di restituzione al governo sudanese, ma per ora nessun documento è stato riconsegnato.

 

La prima mostra pubblica dei documenti storici del Sud Sudan (Juba, 2017)

 

Nel 2007, due anni dopo la sigla del Comprehensive Peace Agreement, gli archivi furono riassemblati in una tenda che offriva una protezione veramente ridotta contro le intemperie e Nicki Kindersly scherza sul fatto che “le termiti abbiano goduto di una buona porzione della memoria storia del Sud Sudan”4. Dal 2007, il dipartimento degli archivi ha intrapreso il difficile compito di una conservazione d’emergenza e tutta l’attenzione si è diretta verso la protezione e digitalizzazione dei documenti esistenti. Gli archivi nazionali stanno aspettando il trasferimento alla loro destinazione finale, un ex mensa degli ufficiali militari, attualmente in fase di ristrutturazione, di fronte al mausoleo di John Garang. Finché questo non accadrà, i documenti resteranno conservati in scatole di cartone all’interno di una casa che non è mai stata destinata a ospitare la ‘memoria’ letteraria del Sud Sudan.

 

Loes Lijnders

Traduzione dall’inglese di Claudia Galal

1 Harold MacMichael in Arkell, A.J. A History of the Sudan: from the Earliest Times to 1821. Athlone Press, Londra, 1951, pp. 2.
2 Ibid.,x.
3 Churchill, Winston S. 1902. The River War: An Account of the Reconquest of the Sudan, Longmans, Green & Co., Londra, 1902, capitolo 1 (tr. it. Riconquistare Khartoum, Piemme, Novara, 1999).
4 Kindersly, Nicki. “South Sudan National Archives: New country, New Paperwork.” Pubblicato su “The Imperial and Global History Network”, 14 marzo 2014: http://imperialandglobal.exeter.ac.uk/2014/03/south-sudan-national-archives-new-country-new-paperwork/.

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